
UNDERDOGS: The Loved Ones – Keep Your Heart
Terzo capitolo dei nostri underdogs: il capolavoro dei Loved ones. Orgcore!
Scoprire i The Loved Ones è stata veramente una sorpresa!
Circa tre anni fa (quindi con un ritardo di quasi 10 anni) ho scaricato questo Keep Your Heart un po’ per caso. Non ricordo neanche bene in che circostanze o dove avessi letto di questo album e tra l’altro il nome della band non mi ispirava particolarmente.
Nonostante le premesse non proprio ideali, dopo pochi minuti dall’ inizio del disco rimango di sasso e la prima cosa che mi chiedo è: com’è possibile che non abbia mai sentito parlare di una band così?!
Sì, perché la prima traccia, Suture Self, è una botta che mi risveglia! Questi TLO suonano freschi, diretti ma anche melodici, i ritornelli ti si ficcano in testa e soprattutto tutte le canzoni incarnano quanto dichiarato nel titolo: keep your heart, mantieni il cuore, sia nei testi, sia nella musica!
Andando ad indagare un po’, scopro che la band è di Philadelphia, capitanata dal cantante/chitarrista David Hause, ma la cosa incredibile è che questo lavoro era uscito per la Fat Wreck!
Andando avanti con i brani, il livello del disco si mantiene sempre alto.
La terza traccia, Jane, è una delle migliori dell’album (se non forse la migliore, anche se è veramente difficile scegliere!). “I’m sick of feeling like I lost this fight / I’m sick of graying out the wrongs and rights / I’m pulling out of here to clear my sights / Tonight”. I testi sono intensi e mai banali, veramente ben scritti!
La cosa che sorprende di più, andando avanti con l’ascolto, è che in generale i The Loved Ones non sono qualcosa di mai ascoltato prima, non introducono elementi innovativi del genere. Anzi, già dai primi ascolti, il suono mi è familiare. Ed è forse proprio questo che rende speciale questo disco: mentre lo si fa passare nel lettore, si ha la sensazione di ritrovare un vecchio amico che non vedevi da un pezzo, che un po’ è cambiato ma fondamentalmente è rimasto lo stesso. Si capisce quindi che la grandezza di questo lavoro sta semplicemente nel fatto che è composto da belle canzoni, scritte bene ed eseguite meglio!
Il disco si chiude con una doppietta incredibile, nonché con due dei pezzi più belli: l’esplosiva 100k, in una versione rieditata rispetto a quella pubblicata nel loro EP self-titled dell’anno precedente (la versione su LP è nettamente migliore rispetto all’altra) e soprattutto Player Hater Anthem, con un ritornello fenomenale da cantare a squarciagola:
Do I regret I even wasted the breath it took to sing?
Do I regret I ever admitted to a little and bled it all out on the page?
Do we regret they’re out there waiting?
For someone honest to take the stage?
Will they want their ten bucks back
Or leave knowing that this means more than anyone could pay?
It’s all just as well
The ones that can tell
Know we’re here to play
Tra l’altro, come chicca finale, gli ultimi secondi della canzone riprendono il ritornello di Suture Self, il brano di apertura, come a chiudere un cerchio che si riaprirà solo con il disco successivo di due anni dopo.
Purtroppo la band attualmente è in silenzio dal 2010 circa (pur non essendosi mai sciolta ufficialmente) e non ci sono segnali che possa ricomparire sulla scena.
Nel frattempo, andate a comprarvi questo disco: scoprirete di averne bisogno!
Frankie