
Never Trust a Punk… Quando cantai Amoeba con Steve Soto
Ci sono momenti, nella vita di ognuno di noi, in cui ci troviamo in una dimensione ideale, esattamente dove vorremmo essere e senza riuscire a poter immaginare qualcosa di meglio.
Resa l’idea?
Per molti di noi tutte queste sensazioni sono riconducibili all’essere presente a uno dei nostri concerti della vita, oppure alla vicinanza dei nostri migliori amici, meglio ancora se entrambe le cose coincidono. Proviamo solo per un attimo a immaginare uno dei nostri concerti tanto agognati e attesi da tempo (… lo so, leggere queste parole nell’anno in corso ha l’effetto di un calcio volante di Antonio Inoki, era per creare il pathos necessario…), arrivare al locale di turno con gli amici al seguito o trovarli sul posto, da tutta italia. Già la presa bene è alta: ora, immaginiamo che il locale sia il LO-FI, semplicemente una delle migliori realtà locali per la musica underground esistente a Milano fino a qualche anno fa.
Quindi, contestualizziamo il concerto che si sarebbe tenuto su quel palchetto già storico e divenuto poi leggendario, la sera di un martedì di novembre del 2011.
La band che suonerà scende in campo con questa formazione:
– Steve Soto (membro fondatore e bassista degli Adolescents, bassista nei primissimi Agent Orange, basso e/o chitarra nei Manic Hispanic)
– Stan Lee (membro fondatore e chitarrista de The Dickies)
– Greg Hetson (membro fondatore e chitarrista dei Circle Jerks, chitarrista dei Bad Religion)
– Derek O’Brien (batterista storico dei Social Distortion, batterista del primo EP dei D.I., batterista-turnista degli Agent Orange, batterista degli Adolescents dal 2001 al 2008)
Una All-Star-Band definitiva del punk.
Praticamente, nella metà dei dischi storici dell’hardcore ci hanno messo lo zampino i quattro cavalieri dell’apocalisse elencati qua sopra. E… chi canta? Dimenticavo, la serata in questione si chiama Punk-Rock Karaoke… ovvero, scegli un pezzo tra quelli disponibili, arrivi, ti registri sul tabellone, quando è il tuo turno sali sul palco, prendi il microfono e canti!
Dunque, ricapitolando: Soto, Lee, Hetson e O’Brien le suoneranno, come una backing-band qualsiasi, mentre tu le canti. Una cosa tranquilla no? Quando esce l’evento del Punk-Rock Karaoke con la data (unica italiana) di Milano, impazzisco, non avrei mai lontanamente pensato che qualcuno li potesse portare da noi.
Sono già a conoscenza della loro esistenza, tramite video e Dvd del Warped Tour dove si sono svolte le prime spartane edizioni, più per farsi due risate che altro.
Quel martedì arrivai a casa dal lavoro, una doccia veloce, mi cambiai d’abito e mi misi alla guida, il tutto con un sorrisetto ebete e con le strofe di ‘Amoeba’ degli Adolescents in testa.
Quando uscivano le date dell’evento, in allegato veniva girata agli organizzatori anche la lista dei brani selezionabili per la serata, ovviamente scelta libera purché nessuno scegliesse un pezzo che fosse già prenotato da qualcun altro.
Non avete idea dell’imbarazzo della scelta, il listone era composto esclusivamente da pezzoni punk storici usciti tra la fine degli anni ’70 e la fine degli ‘80: a memoria ricordo di essere andato in pieno sbattimento dovendo scegliere tra ‘Ever Fallen In Love’ dei Buzzcocks, ‘Myage’ dei Descendents, ‘12xU’ dei Wire, ‘Uncontrollable Urge’ dei Devo e, appunto ‘Amoeba’.
Poi mi decisi e prenotai l’anthem degli Adolescents perché diedi ascolto al cuore e, oggettivamente, perchè forse sarei potuto riuscire a omaggiarla senza distruggerla, avete presente cantare i Buzzcocks? Avrei preso (giustamente) le sassate!
Una volta arrivato al Lo-Fi, entrai nella sala concerti e la prima cosa che mi colpì fu il clima. Sembrava fosse una normalissima serata tra amici, inclusi i 4 musicisti che giravano tranquillamente dentro e fuori dal locale senza lesinare due chiacchere con i presenti, dando consigli o facendosi due risate relativamente ai pezzi scelti da “noi”, comuni mortali ma non quella sera!
A una certa, dopo aver fatto gli onori di casa, Corrado (la serata era patrocinata da Hardstaff) ci fece riunire davanti a un cartellone dove, attraverso un tremendo sorteggione (cit.) si erano decisi gli orari di esibizione… e, sia chiaro, tutto al volo e in diretta, zero soundcheck con la band e nessuna possibilità di fare una prova prima di esibirsi, anzi rigorosamente via uno e via l’altro, senza tirarla troppo lunga!
Ecco, lì la presa bene estrema portata quasi all’ebetismo, un po’ si trasformò in leggera tensione… insomma, io manco canto sotto la doccia, sono soltanto un batterista, ce l’avrei fatta? Ma soprattutto come l’avrei portata a casa? E se a una certa mi fossi dimenticato le parole? Queste e altre 116 domande sulla concatenazione degli eventi astrali, mi girarono in testa fino a che non si spensero le luci e devo essere rimasto più di quanto mi ricordi in un angoletto tra palco e backstage, perché poco prima che si iniziasse mi passò davanti Greg Hetson e mi disse “Tutto ok, ragazzo? Non prenderla così seriamente … NON DEVI ESSERE PERFETTO PER ESSERE PUNK-ROCK”.
Era proprio quello di cui avevo bisogno.
Quella serata fu particolare al di là dell’evento perché erano radunati davvero tutti i punk-rockers dell’hinterland e delle province limitrofe, non c’era nessuno che era lì per farsi le foto con il telefonino sottopalco o per fare semplicemente casino, ma erano tutti presenti per supportare quella scena, in particolare quei pazzi sciagurati (come il sottoscritto) che avevano preso le palle in mano per salire a cantare e entrare nella leggenda per 3, 4 o 5 minuti al massimo.
Mi ricordo la mia partner-in-crime Arianna, con cui si conduceva da poco un programma in radio sul web (Hell Yea Radio), poi c’era Stefano Gilardino, mentore e guru assoluto del punk (ho appreso più conoscenze tramite i suoi articoli e i suoi libri che in tutti i miei anni di liceo).
Gila si cimentò con ‘12XU’ dei Wire, Andrea Rock cantò i Social Distortion(‘Mommy’s Little Monster’), mi ricordo Massi Leeches con ‘Teenage Kicks’ degli Undertones, poi Nad PHP/Wasei Hei Go alle prese con ‘Myage’ dei Descendents; altri pezzi che ricordo in scaletta erano ‘God Save The Queen’ dei Sex Pistols, ‘White Riot’ dei Clash, ‘Nervous Breakdown’ dei Black Flag, ‘California Uber Alles’ dei Dead Kennedys, ‘Astro Zombies’ dei Misfits, ‘Solitary Confinement’ dei Weirdos, ‘Sonic Reducer’ dei Dead Boys, ‘New Rose’ dei Damned e ‘Search And Destroy’ degli Stooges.
E arrivò il mio turno … ragazzi, davvero, quei 5 minuti me li ricorderò per tutta la mia vita… non appena giunsi sul palco, salutai con l’inchino quei 4 “ragazzi” che mi aspettavano con gli strumenti già pronti per attaccare. “Ok, grazie a tutti, voglio ringraziare queste persone, è colpa loro se stasera siamo tutti qui ma soprattutto se io sono qua sopra a cantare… un applauso enorme a loro”.
E poi… certo, ‘Amoeba’ si inizia tutti insieme… un rapido sguardo tra noi, come fossimo una band vera… “one, two, three, four, Amoebaaa, Amoebaaa, Amoebaaa…”
Avevo un brivido lungo la schiena, credevo anche di essermi pisciato addosso, giusto per dare un’idea, le parole c’erano, me le ricordavo, però per sicurezza me le ero scritte sul dorso delle mani, prima strofa sulla
sinistra e seconda strofa sulla destra. Mi ricordo che l’attacco del coro al terzo ritornello lo presi un po’ sguaiato, dando le spalle al pubblico per la presa male incrociai lo sguardo di Steve Soto che rideva di gusto… ecco, ora mi commuovo, ma in quel momento fu una cosa bellissima, una sensazione davvero adrenalinica oltre l’immaginabile, non dovevamo essere perfetti per essere punk, in fondo.
Finì il pezzo e io ringraziai probabilmente anche le madri dei musicisti per averli messi al mondo; ero sotto anfetamine senza averne mai presa una in vita mia, avevo addosso una corazza fatta di sudore, birra e invulnerabilità, senza un filo di voce e con il respiro tachicardico, ma mi sentivo un supereroe punk che camminava a mezzo metro da terra e desiderava che quella serata durasse in eterno.
Eravamo lì tutti.
Amici, conoscenti, perfetti sconosciuti, tutti uniti e riuniti sopra e sotto quel palco, allo stesso livello, senza etichette né prevaricazioni di alcun tipo, davvero, poche volte ho percepito quella sensazione di “grande famiglia” che spesso si accosta al punk e alle sue correnti.
A fine serata, come all’inizio, fu come se fosse finita l’ennesima serata tra amici: si buttarono via le lattine vuote sparse sul palco, si scaricarono ampli e strumenti, pacche sulle spalle, strette di mano, abbracci, foto ricordo.
E si tornò a casa con lacrimoni grandi così.
PS: se qualcuno tra quelli che leggeranno queste righe fosse in possesso di qualche foto/video della serata o conosca chi ne possa avere, si faccia sentire!
Io mi ricordo tutto, ma non ho neppure uno straccio di foto (come nel 90% dei casi)
Koppo