
Punkrock Factory – Masters of the Uniwurst
Metti insieme quattro simpatici nerd cicciottelli, una saletta per far casino e nessuna vergogna, cosa ottieni? Punkrock Factory! Band gallese dedita da ormai diversi anni al “miglioramento” di canzoni altrui. Mi spiego meglio: l’attività dei quattro consiste sostanzialmente nel prendere classici brani della tradizione teen/becer pop anni 80/90 e ridargli nuova vita con un’iniezione di Mesa Boogie e una moltiplicazione di BPM.
In questo modo viene in sostanza ridotta l’inibizione di ogni punkrocker verso la gasatura normalmente e attentamente celata verso pezzi come Breathless dei The Corrs o Mmmbop degli Hanson oppure viene addirittura creato l’espediente giusto per connettere ogni punkrock dad al mondo musicale dei propri figli, con pezzoni del calibro di Let it Go (direttamente da Frozen) oppure Can you Feel the Love Tonight (Il Re Leone).
Nel nuovo Masters of the Uniwurst però la band si spinge nel profondo dell’infanzia di ogni figlio della generazione Millennial, proponendo una propria versione di sigle di cartoon e serie TV tipiche di chi ha passato gli ultimi due decenni del secolo scorso da bambino o adolescente.
Sfido chiunque a non gasarsi di fronte a Teenage Mutant Ninja Turtles, He-Man o Saved by the Bell (da noi era Bayside School), tutte notevolmente boostate con anche discrete trovate tecniche e compositive che aiutano a ridurre la monotonia degli arrangiamenti forse un po’ troppo tipiche dei dischi precedenti.
Trovata carina e simpatica ma a mio avviso anche arma a doppio taglio, perché il rischio è quello di confinare la cerchia di chi può effettivamente capire ed apprezzare il disco a quella specifica generazione (difficile che un quindicenne di oggi si appassioni ad un prodotto del genere). Inoltre l’elevato hype iniziale rischia di spegnersi in fretta dopo i primi ascolti (difficile che “venga voglia” di spararsi nelle orecchie la sigla di Scooby Doo in loop).
Ad ogni modo si tratta a mio avviso di un prodotto ben fatto e di un ascolto tutto sommato piacevole, leggero e simpatico, con una buona dose di effetto nostalgia a far funzionare una macchina che credo possa dare il meglio in un contesto live.
Sti regaz poi hanno numeri impressionanti, vantano collaborazioni con gente del calibro di Steve Rawles (Belvedere), Tony Lovato (Mest) e Dennis Jagard (Ten Foot Pole), sanno suonare parecchio bene, sanno promuoversi egregiamente e se pensate che questo disco è autoprodotto c’è da tirare giù il cappello. Nonostante questo non c’è nessuno che se li caga realmente. Non li ho mai visti in tabellone ad un festival, non ho mai visto nessuno oltre a loro stessi pompare le loro cose, all’inizio addirittura non era chiaro nemmeno a me se fossero una band vera o una trovata di Instagram: questa, cari miei, è la vita di una cover band nel mondo del punkrock, dove trovi spazio solo se ti chiami Me First and the Gimme Gimmes per ovvi motivi. Non importa quanto sei simpatico, quanto sei bravo, quanto bene suonano le tue cose, quanto buone siano le tue idee o quanto bene sai stare su un palco: una cover band è merda a prescindere e se pensate che nel punkrock nessuno dovrebbe sentirsi escluso o giudicato, c’è veramente da farsi due domande.
E qui stiamo parlando di amici di oltre confine, che per qualche ragione godono comunque sempre di maggiore considerazione rispetto ad una band in Italia che con uno sbattimento proporzionale riesce a raccogliere quando va di lusso un like al mese.
Però nessuno si sognerebbe di dire di no a Fat Mike, pensateci mentre attendo l’irruzione della punk police.
Fottetevi.
Reeko
Tracklist
- The Adventure Begins
- Thundercats
- Mighty Morphin Power Rangers
- Arthur
- Goof Troop
- Animaniacs
- The Flintstones
- Bucky O’Hare
- The Powerpuff Girls
- Darkwing Duck
- Gummi Bears
- Pokémon
- Alvin and the Chipmunks
- Teenage Mutant Ninja Turtles
- Denver the last Dinosaur
- Captain Planet
- A.S.K.
- Round the Twist
- Saved by the Bell
- Scooby Doo
- Fun House
- He-Man