Libidine+Aendriu @ C.I.Q. (Milano)
Il C.I.Q. di Milano è lo sfondo perfetto per un venerdì sera a base di concerti e birrette.
Situato nella malfamata periferia milanese, questo ampio e dispersivo spazio in cui gli ingressi sparsi su ogni lato della struttura si rivelano praticamente tutti chiusi, dove le indicazioni direzionali interne sono fraudolente e dove c’è una totale mancanza di armonia e buon senso nella gestione degli ambienti e dei suppellettili, è un luogo dove l’impressione è che tutto sia fatto a caso e non funzioni un cazzo, proprio come piace a noi.
La verità è che poi, in realtà, dopo aver superato le dodici fatiche di Ercole tra il dover parcheggiare, il riuscire ad entrare ed il raggiungere la saletta concerti, nel momento in cui la planimetria del posto viene assimilata dal cervello dell’ignaro e casuale avventore, ci si rende conto che tutto funziona a meraviglia, in un equilibrio tra ordine e caos dove tutto è perfettamente bilanciato ed ha un senso per come è.
Per quanto mi riguarda non è la prima volta che passo di qua, e per l’importanza dell’occasione e delle band presenti mi sarei aspettato che i live si realizzassero nella “Sala Concerti”, ma, raggiunta questa, con molto stupore devo tornare sui miei passi e tentare la fortuna verso la seconda saletta che saltuariamente viene dedicata alle esibizioni musicali, muovendomi con il dubbio di aver sbagliato posto / data.
All’ingresso di questo ambiente, riconosco la Simona (Disgrace), nell’improvvisato ruolo di bigliettaia (SUPPORT YOUR LOCAL SCENE!!!), quindi posso tranquillizzarmi e proseguire nell’avventura.
Entrato in questa seconda stanza dalle dimensioni estremamente ridotte rispetto alla principale, scopro che gli organizzatori ci hanno visto lungo: non ci sono più di una quindicina di presenti, ed il rischio della serata pacco è estremamente alto.
Sul palchetto, già operativi, ci sono i Libidine, con Jek ed il Poli impegnati in una delle loro gag utilizzate come collante tra un pezzo e l’altro.
Come era prevedibile dal nome, per chi non lo sapesse, il loro è un punk lineare e scanzonato, dai testi strampalati e poco impegnati, ed in grado di generare ilarità e spensieratezza.
La scaletta proposta ruota interamente attorno ai brani del loro (per ora unico) album “Romantico Lunatico Animale”, a cui vengono aggiunti per l’occasione una cover degli Impossibili, e un paio di inediti.
Il pubblico presente, seppur esiguo, è caloroso e si lascia andare a cori e balletti, perfettamente in linea con il mood della band.
In occasione de “La Merenda dei Campioni”, i romagnoli offrono a noi spettatori fette di pane, imbevute di vino e ricoperte di zucchero, dimostrando che ciò che è raccontato nel testo della canzone in questione non è frutto di una loro serata a base di acidi ma una reale tradizione della loro terra d’origine, o almeno è così che voglio pensarla.
I minuti passano piacevolmente e quella che rischiava di essere una serata senza possibilità di pretese si rivela essere un ottimo momento per staccare la testa dalla settimana lavorativa ed inaugurare il weekend.
Il pezzo che reputo più degno di nota è “Trash”, dal delirante ritornello “Voglio una vità come Jerry Calà”.
Quando i ragazzi staccano gli strumenti viene proprio da pensare “Ma che bella festa. Sembra quasi finita ma noi andiamo avanti eh, noi non molliamo”.
Di fatto, usciti nel cortiletto a prendere un po’ d’aria, ci si trova in un bel cerchio a raccontercela su, con presenti gli Smart Hangover, Danilo Friday in Punk, e l’immancabile Sindaco di Oriano.
La sconsideratezza della situazione ci porta inevitabilmente a riesumare il grido di battaglia del “Gerry”, creatura della mitologia bergamasca che ha accompagnato con il suo motto tutto il viaggio di ritorno da Bellaria a Brescia del SickBus appena passato.
Per noi comuni mortali è ormai è troppo tardi per tornare indietro e, nonostante la consapevolezza della condanna autolesionista appena autoinflitta, passiamo un buon quarto d’ora a dire praticamente solo “Sex… and violence!” (The Exploited).
Per cercare di toglierci dalla testa questa maledizione torniamo nella saletta concerti sperando che il live di Aendriu sia sufficientemente invasivo da dare tregua alle nostre povere menti.
E’ la terza volta che mi trovo sottopalco a vedere Aendriu che suona dal vivo i brani del suo disco solista, il quale viene accompagnato da parte dei membri della sua ex formazione dei Knowing2Fly.
Dopo questa esperienza maturata, credo di poter dire che lo spettacolo proposto dal quartetto non è propriamente per i puristi del punk: non si tratta nè di Ramonescore e nè di Punk Italiano da “tu-pa tu-tu-pa” tutto dritto e sparato (e nemmeno OI! o Hardcore, o quello che volete voi), in quanto sono evidenti le influenze Metal e Rock del chitarrista dei Punkreas, cosa che in realtà è nelle mie corde e che apprezzo.
Quello che ci si trova davanti, di fatto, è un live che riesce a sprigionare tutte quelle sonorità che non sono percepibili dal disco e che ne renderebbero apprezzabile l’ascolto: qui a pochi metri dalla cassa è tutta un’altra cosa!
“La Grande Fuga” resta, per il sottoscritto, il pezzo più incisivo, e, vedendo di nuovo da così vicino l’esecuzione impeccabile dell’assolo eseguito dal Botti, posso solo parafrasare Maurizio Mosca “Aah come suona Aendriu”.
Nell’esibizione odierna c’è anche spazio per una cover e un momento amarcord con proprio un pezzo dei L2F (“Burn this Rock”). Forte!
A suon di decisi e puntuali colpi di batteria e di schitarrate piene e potenti, e nonostante il netto contrasto con il clima più goliardico e spensierato dei Libidine, Aendriu ed i suoi si portano a casa la serata grazie ad una convincente e spregiudicata prestazione.
Tornati al cortile interno alla fine del live, mi rendo conto che ormai per il mio cervello non c’è più nulla da fare.
Con i soliti minchioni compagni di queste serate, mi trovo a urlare “Sex and Violence!!!” per tutti i locali, i corridoi e i giardini della struttura.
Fortunatamente i Body Guard presenti sono impegnati a contenere i comportamenti e le mosse ancor più moleste del Poli per poter dare attenzione al sottoscritto, quindi ne approfitto per procedere ai saluti di rito e sfuggire senza dare troppo nell’occhio.
Tutti i 34 minuti e 62 secondi che impiego per giungere a casa, come se fossi un soldato in ritorno dal Vietnam in piena crisi da PTSD, sono occupati da un unico pensiero fisso…
SEX AND VIOLENCE!
Dan