
Intervista ai Buscemi’s Eyes
Siamo riusciti ad intercettare Pier e Pao dei Buscemi’s Eyes e ci siamo fatti una bella chiacchierata tra musica, cinema e riflessioni sociali profondissime (giuro).
Ecco cosa ci siamo detti.
Ciao ragazzi, benvenuti su Irritate People! Inizierei subito con una domanda che penso inquadri bene il concept dietro il vostro progetto: chi vincerebbe facendo a lotta, Lemmy o Dio?
PierP: Ah, iniziamo subito così, con un tranello? Beh in questo caso facciamo rispondere direttamente il buon Steve Buscemi nei panni del bassista dei The Lone Rangers: “ Scemo…Domanda trabocchetto: LEMMY E’ DIO!”
Pao: A meno che si tratti di Ronnie James Dio… in quel caso di petto e di cuore direi Lemmy. Beh, sarebbe stata una gran puntata di Celebrity Deathmatch!
Venendo tutti da realtà consolidate e ben conosciute [Discomostro, Sottopressione, Gotama Studio], siete a tutti gli effetti un supergruppo. Com’è nata l’esigenza di creare questa band? Come riuscite a far quadrare tutto?
PierP: L’esigenza di formare questo gruppo è nata banalmente dall’amicizia tra di noi, dal voler passare del tempo insieme e divertirsi ma anche dalla curiosità di vedere cosa potesse uscire musicalmente dal suonare nello stesso progetto, provando a discostarci un pochino da ciò che facciamo con quelli già attivi e che sono stati la causa per cui ci siamo conosciuti, tra un palco e l’altro, negli ultimi 20 anni. Forse per deformazione professionale, ma spesso mi ritrovo a fantasticare su formazioni che includono membri di diverse band del panorama che conosciamo. Se è questa la definizione di “Supergruppo” spero di vederne nascere e crescere il più possibile! Sarebbe interessantissimo e sono sicuro ne vorrei produrre un sacco in studio.
Come riusciamo a far quadrare tutto? Molto semplice: non lo facciamo!
Dopo anni di tentativi (con pandemia annessa poche settimane dopo la nostra formazione) abbiamo capito che, tra lavoro, altri progetti, vite personali e sfighe costantemente in agguato, è quasi impossibile organizzarci come vorremmo. Quindi, ogni prova, ogni registrazione e soprattutto ogni concerto è praticamente un miracolo: cogliete l’attimo!
Avete pubblicato da poco il vostro primo full length, in cui avete ripreso anche alcuni pezzi già sentiti nel vostro precedente EP e il vostro primissimo singolo omonimo, volete raccontarci un po’ di questo lavoro?
PierP: Beh, temo sia necessario partire dall’inizio… Abbiamo iniziato a comporre sin dalla primissima volta in sala prove insieme, sul finire del 2019. In un pomeriggio abbiamo scritto e arrangiato 3 pezzi partendo da mezzi riff che avevamo scartato per le altre band o da improvvisazioni estemporanee. Tra questi c’era quello che poi sarebbe diventato il singolo “Buscemi’s Eyes”.
Alla seconda prova avevamo già cinque pezzi e in pochissime altre, quasi tutti i rimanenti del nostro repertorio.
La voglia di uscire il prima possibile con un full lenght si faceva sentire ma a causa di svariati motivi, organizzare l’uscita di un album, all’epoca, non era possibile. Abbiamo optato quindi per debuttare con un più sbrigativo EP, “Is It Bad?”, registrato in una giornata, uscito in cassetta nel 2022 e ristampato in CD l’anno successivo. Due dei quattro pezzi della sua tracklist erano già ispirati/trattavano dei film di Steve Buscemi e abbiamo fatto la scommessa di puntare a fare un intero disco con quella tematica. Il motivo ci sembrava abbastanza sensato per provarci: il cinema è una nostra passione come lo è la musica, tanti film ci emozionano, descrivono, motivano e raccontano esattamente come fanno le canzoni. Perché non provare a unire i due mondi?
Così è nato “Movie-Core”, 12 pezzi dove ci siamo divertiti a mescolare le nostre influenze musicali alle storie, i messaggi, le atmosfere e i copioni di diversi film di diversi generei interpretati da Buscemi e nel quale, per completezza, abbiamo deciso di ri-registrare e inserire i due pezzi che nell’EP avevano anticipato questa idea.
La parte grafica del lavoro è stata curata da Dani Hyde, altra veterana del nostro mondo. Potete raccontarci come mai fra tutti è proprio l’immaginario de “Le Iene” quello che rappresenta al meglio il vostro album?
PierP: Dani è un illustratrice eccezionale, tecnicamente e per attitudine, e collabora spesso con Gotama Studio curando le grafiche di diverse band del roster (l’ultimo lavoro dei The Crimson Ghost, l’EP dei The Blackholes per citarne un paio). Avevamo già deciso di chiedere a lei di occuparsi dei nostri artwork quando ci ha sorpreso anticipandoci: una sera dopo un nostro concerto è stata lei a proporsi. Abbiamo immediatamente accettato, ovviamente, e nonostante l’avessimo avvertita del fatto che sarebbero passati mesi prima dell’inizio delle registrazioni ecc, pochi giorni dopo ci aveva già inviato delle bozze di quelle che abbiamo capito subito sarebbero state le nostre grafiche.
L’idea di rappresentarci come “Le Iene”, “i cani da rapina” di Tarantino, è stata sua e ci ha preso alla grande: i primi due pezzi che abbiamo composto sono stati ispirati proprio da quel film e il testo di uno di quelli è quasi interamente composto da parti del copione di quella pellicola. A questo punto non potevamo che continuare su questa strada anche con il video…
Parliamo di musica e cinema, il vostro core-business. Il grande schermo sta in qualche modo attraversando un periodo di crisi creativa: alle novità vengono spesso preferiti reboot e riesumazioni di vecchie e gloriose saghe che vengono puntualmente rovinate da nuovi imbarazzanti capitoli. Possiamo dire lo stesso del mondo della musica secondo voi? C’è crisi anche qui?
PierP: Citando Corrado Guzzanti nel personaggio di Quelo: “c’è grossa crisi!”
Tornando seri, è un discorso complesso, se ne potrebbe parlare per ore…
Provando a semplificare, credo ogni forma d’espressione (come il cinema e la musica di cui ci chiedi) rifletta il contesto in cui viene realizzata. Negli ultimi anni il mondo è radicalmente cambiato, a una velocità senza precedenti, soprattutto a causa della tecnologia e delle innovazioni che ha portato, in particolar modo sul concetto di “comunicazione”.
Credo che questo abbia avuto un forte impatto e ci abbia trasformato a livello antropologico e sociale. La crisi c’è sicuramente e la si riscontra nelle attuali modalità artistiche perché e quella che viviamo come persone, nella quotidianità. È una crisi di identità e di valori a fronte di un mondo le cui dinamiche sono cambiate (o forse si sono solo estremizzate), dove disponiamo di più mezzi, più possibilità ma sempre meno consapevolezza e fantasia. Niente stimola l’ingegno più della necessità… troppo pane forse ci ha fatto perdere i denti e la conseguenza è un appiattimento generale, un approccio sempre più superficiale dove più del “fare” conta “l’esserci” e più del contenuto l’apparenza.
Insomma, spostando il focus dal lato umano, che dovrebbe essere la matrice e che sembriamo essere sempre meno in grado di curare, è inevitabile il proliferare di copie di copie, esercizi di stile (spesso riuscitissimi e godibilissimi eh!), di esperimenti forzati o di pura comfort zone, con l’esclusivo scopo dell’intrattenimento e non della condivisione.
I numerosi revival, reboot, tributi, operazioni nostalgia ecc da una parte rappresentano sicuramente una spia d’allarme della creatività, dall’altra però, a volte, sono la risposta a un “nuovo” vuoto, poco credibile o nel quale semplicemente non ci si riconosce e diventano quindi una sorta di rifugio sicuro. Personalmente cerco sempre di trovare qualcosa di nuovo, attuale, che emozioni in quanto genuino, vero, sincero. Quando non lo trovo però, sono il primo a combattere lo sconforto mettendo sul piatto un disco di decenni fa o guardandomi un vecchio film. Magari con Steve nel cast, perché no?
Pao: Trovo che più che crisi, ci sia la volontà di riproporre roba trita e ritrita, forse per andare a colpo sicuro invece di provare a percorrere strade nuove con libertà ed espressività, rischiando e investendo su unicità e creatività.
Un altro importante elemento entrato a gamba tesa in entrambi i mondi è l’intelligenza artificiale. È abbastanza evidente che sia nel cinema che nella musica se ne stia facendo (troppo) spesso abuso, ma in che modo secondo voi il buonsenso può aiutarci a trasformare l’AI da pericoloso villain a prezioso alleato?
PierP: Come per tutti gli strumenti (perché è di questo che stiamo parlando: uno strumento!) il problema è l’uso che se ne fa. Se questa tecnologia può agevolare il processo creativo o migliorare la qualità dell’opera secondo la visione di chi la sta realizzando, ben venga. Ma se questa condiziona o si sostituisce a chi sta creando, allora qualcosa è andato storto, non ha più senso. Qui si riprende parte del discorso della domanda precedente. L’aiuto che ci può dare il buonsenso è semplicemente quello di arrivare a questa consapevolezza per poter scegliere di comportarsi di conseguenza.
Demonizzare di default nuove possibilità è sbagliato, retrogrado, tuttavia bisogna stare molto attenti a non sottovalutare le possibili conseguenze ed effetti collaterali.
Perché non è lo strumento in se a spaventarmi, ma chi lo impugna…
Per fare un esempio piuttosto banale, direi che Internet e i social media possano rendere l’idea…
Pao: Come in tutta l’avanguardia, noi umani commenteremo un sacco di aberrazioni e strafalcioni, solo il tempo bilancerà le scelte e mostrerà il vero lato positivo della cosa. O, forse, non ci faremo semplicemente più caso…
Per concludere, vi lascio al consueto spazio libero che riserviamo a tutti i nostri intervistati. Potete dirci quello che volete ricordando che Irritate People è prima di tutto uno spazio sincero e liberatorio, quindi non abbiate paura di dire nulla.
PierP: Userei questo spazio per lanciare un appello: in tanti ci chiedono se Steve Buscemi sa di noi e del disco che abbiamo fatto su di lui e i suoi film… beh, per quanto ci siamo impegnati, non siamo riusciti a trovare un contatto con un suo agente o simili… se avete idee o suggerimenti a riguardo, non esitate a scriverci!
Pao: Considerato come abbiamo iniziato… “Buona notte e buone botte!”
Reeko