Bob Mould-Blue Hearts-Merge Records

Bob Mould-Blue Hearts-Merge Records

 

Signori e signore, giù il cappello un’altra volta, l’ennesima, davanti a un nuovo disco di Bob Mould.

Il “nostro” eroe ci consegna un album deflagrante, concreto, diretto e decisamente incazzato, ma sempre intriso di speranza e passione.

I “Blue Hearts” del titolo altro non sono che i democratici americani, i quali, al momento dell’uscita dell’album (25 settembre 2020), erano pienamente nell’atto di dare battaglia e conseguentemente un piccolo bagliore di luce all’ex sogno americano.

Il quindicesimo album da solista del signor Mould è arrivato alle orecchie del mondo poche settimane prima del suo sessantesimo compleanno, la cosa che impressiona è come sia possibile fare uscire un disco del genere, in un anno del genere, a 60 anni; qui c’è da prendere nota e carpire i segreti di un maestro che, volente o nolente, ha fatto scuola ad almeno tre generazioni di musicisti professionisti o meri strimpellatori, che ne hanno attinto in misura più o meno evidente nel sound o nel songwriting… il Capo assoluto.

‘Blue Hearts’, uscito per l’etichetta indipendente della North Carolina Merge Records, si apre con l’unico passaggio scarno e intimista dell’album, ‘Heart On My Sleeve’, che si snoda fino alla deflagrazione di ‘Next Generation’ (miglior pezzo di un disco con pezzi solo bellissimi, my 2 cents); a seguire, un brano che per il 90% delle alternative-rock band odierne sarebbe la hit della carriera, ‘American Crisis’, dove la rabbia ha preso consapevolezza e vigore, tant’è che Mould canta “We’re Really In Deep Shit Now” e sinceramente è molto difficile dargli torto, da americani come da italiani.

Parte ‘Fireball’ e, come se avessimo bisogno di ricordarcene di tanto in tanto, compare il fantasma degli Hüsker Dü e si socchiudono gli occhi… se oggi un Bob Mould sessantenne suona così, cosa avrebbe potuto tirare fuori la band del Minnesota con dei dischi registrati “meglio” o in tempi più recenti? Io dico che non si sarebbe mai più sentito il bisogno di fare altri dischi per nessuno, con quel power-trio inarrivabile in giro.

Anche ‘Siberian Butterfly’ chiama in causa la band seminale di Bob, con un pizzico di Sugar che la pillola va giù (scusate).

In ‘Racing To The End’, altro pezzo che sembra uscito da un album della SST, tutto è al suo posto come in un dipinto rinascimentale: sfumature, luci, colori e sentimenti.

Non ne sbaglia una, non ci sono riempitivi ma solo pezzi a effetto, che neanche la punizione di Roberto Carlos in Brasile-Francia, ascoltare per credere la conclusiva ‘The Ocean’, a me fa salire un magone che lèvati.

Essendo in primo piano la politica e le vicissitudini degli States, non manca lo sberleffo (anzi, un vero e proprio calcio nel culo) a Donald Trump, attraverso quella ‘Baby Needs A Cookie’ che senza ombra di dubbio sarà un pezzo immancabile nei suoi concerti prossimi venturi (sì, ma quando???!!!).

L’emozione e l’emotività, la rabbia, l’ardore, il carisma, il suono di quella chitarra che si intreccia con quel cantato

‘Blue Hearts’ è il mio disco preferito dell’annus horribilis 2020, a mani basse.

Grazie Bob, come sempre con te si gioca in un altro campionato.

TRACKLIST:

 

  1. Heart On My Sleeve
  2. Next Generation
  3. American Crisis
  4. Fireball
  5. Forecast Of Rain
  6. When You Left
  7. Siberian Butterfly
  8. Everything To You
  9. Racing To The End
  10. Baby Needs A Cookie
  11. Little Pieces
  12. Leather Dreams
  13. Password To My Soul
  14. The Ocean

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