(Rancid + Frank Turner & The Sleeping Souls + Anti-Flag + Less Than Jake + The Bronx)
SLAM DUNK ITALY (Day 2) – Bellaria (RM) – 02.06.2023
(Rancid + Frank Turner & The Sleeping Souls + Anti-Flag + Less Than Jake + The Bronx)
L’ annuncio dei Rancid in italia già mesi fa aveva scatenato una sequenza di deliri, esultanze a braccia aperte e sbronze beneaugurali.
Del resto, come può una tra le band leggendarie del punk anni ’90 farsi vedere nel Belpaese con così poca frequenza ? Quando succede, è quasi festa nazionale.
Caso voglia che festa nazionale il 2 giugno in italia lo sia davvero, se poi ci mettiamo come contorno un concerto di Vasco a Rimini, il Rimini Wellness e le moto a Misano, sappiamo già che sarà un viaggio della (di)speranza.
Si parte con la famiglia da Milano il primo giugno alle 18.30 post-lavoro e si mette piede all’Hotel Gaia di Torre Pedrera a mezzanotte e un minuto … mio figlio Leonardo è l’unico pacioso e tranquillo, preso bene dai cd che ruotano in auto e pure addormentatosi serenamente un paio d’ore, Cristina ma soprattutto io viaggiamo in seconda/terza a scambi di sguardi ora rassegnati, ora carichi di blasfemie non espletabili causa presenza di minori nella vettura.
L’ indomani è il giorno, quindi, dopo una mattinata di relax con aperitivi in spiaggia, il primo pomeriggio è tempo di partire: c’è un pullman che arriva a circa 500 metri dal Beky Bay, si fa attendere ma arriva, dunque eccoci pronti.
Mi spalleggia Arianna, amica di una vita; la prima cosa che notiamo entrando nel parco è che, rispetto al Bay Fest, il palco è posto dalla parte opposta.
Il secondo palco è quello del Beky e spoilero subito: non so assolutamente cosa vi sia successo.
Troppa gente, troppo richiamo “magnetico” sotto il main stage, insomma va a finire che a una certa, come sempre, mi approprio del mio pezzo di transenna e lì rimango fino alla fine dei giochi.
Pronti ? Via!
THE BRONX: tanta (colpevolmente troppa) gente non li conosce e pensa di farli passare distrattamente, ma la ciurma è collaudata e dunque volano (in senso figurato) gli schiaffoni e (purtroppo qua non in senso figurato) pure la sabbia mista a terra che compone il 95% del terreno antistante il palco.
Joey Castillo alla batteria spero diventi presto patrimonio dell’Unesco, i ragazzi fanno poca roba nuova e parecchi episodi dei primi 3 album (che poi sono le loro pietre miliari) e nonostante alla fine del loro set mi ritrovi conciato come Otzi, la mummia del Similaun, posso solo applaudire energicamente.
Erano la band “outsider” del festival per eccellenza, salgono decisamente sul podio dei migliori live-acts della giornata.
LESS THAN JAKE: pezzo di cuore, di adolescenza, di storia dello ska-core senza mai prendersi eccessivamente sul serio.
Molto più colorati e coreografici della band che li ha preceduti, c’è da dire che nulla di ciò che si è visto/sentito allo Slam Dunk sia qualcosa di sbalorditivo o indimenticabile; la faccio breve, in scaletta hanno messo certamente 4/5 pezzoni dei loro, ma in generale devo dire che, personalmente, da quando li ho visti nel 2018 al Punk In Drublic, mi sembrano una band metodica e che semplicemente fa un ottimo show, ma sempre con qualcosa in meno dell’esplosività che avevano 10/15 anni fa … grazie al caz, direte voi, sono over 50.
Non discuto tecnica e attitudine, ma sul tiro … forse non uno dei loro show indimenticabili tra quelli tenuti qua da noi.
ANTI-FLAG: premetto, è un problema mio, ma il loro set mi ha annoiato a morte.
Mi ha gasato di più la playlist messa in attesa del loro show al cambio palco, con ‘Viet Nam’ dei Minutemen e ‘Waiting Room’ dei Fugazi in diffusione.
Allora, in primis non vedo Pat alla batteria, non me l’aspettavo, non sapevo che non ci fosse, quindi già mi scende la botta.
Non capisco con 3 voci a che serva l’animatore tipo villaggio turistico con asta e microfono a fare la quarta voce …
A una certa Chris#2 interrompe il set quando vede una persona nel pit che non sta proprio benissimo, poi parte una delle cose più banali, sciatte e senza senso che puoi fare in un festival dove suoni 40 minuti: un MEDLEY.
E ci butti, tra le altre, pure una degli headliner …
Momento tragicomico, non suoni ‘Turncoat’ o ‘Rank-N-File’ per farmi sentire un polpettone fatto di Clash, Ramones, Rancid e Green Day (perdonatemi se ne manca qualcuno ma sto cercando di estirparmi dal cervello questo discutibile quadretto).
FRANK TURNER & THE SLEEPING SOULS: al buon Franco non puoi proprio dire NULLA.
Non ti piace, ok, legittimo, ci può stare, ma io ogni volta che sono a un suo concerto, puntualmente vedo gente conquistata a fine set, che lo “scopre” e lo applaude ferocemente.
Frank Turner è un fottuto frontman, maestro nel tenere in mano il pubblico e intrattenerlo, come sempre molto più d’impatto dal vivo che sugli (ottimi) album.
Parla spesso italiano, cerca costantemente gli sguardi e il calore della gente, fa sempre un passo indietro e ci fa capire una volta di più che “HC” non vuol dire necessariamente tirare i pezzi a 200 bpm e urlarci sopra, è una questione di radici e attitudine.
Ce l’ha insegnata anche stavolta.
Special guest all’armonica in un brano, Branden Steineckert dei Rancid.
RANCID: la situa diventa invivibile appena salgono, alcune persone vogliono essere in prima fila ad ogni costo (anche se poi qualcuno usa Shazam per “Hoover Street” e qualcun altro afferma che quella canzone sia “Life Won’t Wait”) e i primi 4/5 pezzi bisogna sgomitare per ripristinare una minima normalità.
Siamo in tanti, io sono davanti a Lars e Tim, i ragazzi attaccano con “Tomorrow Never Comes” e inizia il delirio: qualcuno dal backstage mi dice che abbiano in scaletta 30 pezzi, alla fine ne suoneranno SOLTANTO 28 (!!!).
Le chicche sono tante e mi trafiggono il cuore: ‘Hoover Street’ ??? Hoover Street … sì, fanno Hoover Street, la mia canzone preferita di LWW nonché tra le favorite in assoluto dei Rancid, lì sono impazzito, l’ho urlata tutta inumanamente.
‘Gunshot’, ‘Rejected’, ‘Rats In The Hallway’, le inaspettatissime ‘Something In The World Today’ e ‘East Bay Night’, ‘I Wanna Riot’, ‘Tenderloin’, con Tim che ancora sta lì a raccontartele, le canzoni, te le spiega, te le sta narrando come nel ‘94, perché quella è la sua, è la loro vita, senza filtri, senza orpelli tecnici, senza particolare presenza scenica: basta il carisma.
E noi possiamo solo sentirci privilegiati ad aver potuto condividere pezzi di vita dei nostri eroi con riff e testi che ti si incollano e ti restano addosso per tutta la vita.
Su ‘Fall Back Down’ ho sentito più di una voce rompersi dal pianto, è così, con questi ragazzi è così.
Lars suona ‘The Wars End’ in solitaria e anche se già lo sapevi resti ammutolito.
Tim parte con ‘Olympia WA’ in acustico da solo e ci mette nuovamente al tappeto, grande mestiere di entrambi su ‘Time Bomb’ dove salta una corda e l’assolo viene modificato sul momento.
Chiusura con ‘Ruby Soho’ e, dopo un’ora e un quarto, siamo ai saluti.
Lars lancia plettri, Tim lancia scalette e si sofferma alcuni secondi a salutare i ragazzi appostati a lato palco, Matt e Branden si defilano sorridenti.
Quello che succede nell’aftershow rimane nell’aftershow, ecc. ecc.,
Nota a margine: bellissimo il gesto di Tim che, con il tourbus già pronto a partire in direzione Slovenia, apre il portellone e scende, in pantaloncini da notte e felpona Adidas per regalare 5 minuti al gruppetto di ragazzi che campeggiava lì davanti, speranzosi di avere una foto o un saluto.
Lui li regala entrambi.
Si diventa eroi anche con questi gesti.
Edit: Lars poco prima dei bis ha detto “Ci vediamo presto”.
Io segno … e che non passino altri 6 anni, per favore.
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