BAY FEST 2021 – Positive Edition (Day 2)-Joey Cape, Olly, Gianmaria Accusani, PGA

BAY FEST 2021 – Positive Edition (Day 2)-Joey Cape, Olly, Gianmaria Accusani, PGA

BAY FEST 2021 – Positive Edition (Day 2)

Ho comprato il biglietto per il secondo giorno del Bay Fest il primo giorno del Bay Fest, sulla spiaggia dell’hotel Gigliola (ribattezzato Gigliola Hardcore per motivi che non starò qui a spiegarvi), a Igea Marina, a poche centinaia di metri dallo splendido Beky Bay.

Per chi non lo conoscesse o non ci fosse mai stato, il Beky è ciò che io chiamo “l’installazione perfetta” per un concerto punk: sabbia, legno, chioschi, cabine, docce, sdraio, food & beverage, spiaggia e mare a 50 metri e, dulcis in fundo, un palco con i controcazzi (scusate il tecnicismo).

Il primo giorno non mi allettava, ma devo essere sincero: se il leggendario Joey Cape e alcuni miei amici con relativi banchetti non fossero stati della partita molto probabilmente avrei marcato visita del tutto, cosa che a malincuore finora mi era capitata solo in un’edizione e per motivi di lavoro.

Fatto sta che sabato 21 agosto verso le 16 arrivo al Beky Bay a piedi e devo ammettere che a 200 metri dal traguardo, appena imboccato viale Pinzon, mi sale un po’ la gasata con il fottuto brivido lungo la schiena: STO ANDANDO A UN CONCERTO, again.

Non che fosse il primo post-pandemia, ma di fatto è il primo con artisti internazionali, di nuovo, dopo tutto questo tempo.

E poi Joey per il sottoscritto è un mix di emotività e dinamite pura, da sempre.

Amo quell’uomo.

Tempo di entrare dopo i rapidi controlli (che se ancora non l’avete capito per un po’ saranno la routine, quindi fatecela o non andrete ai concerti per parecchio tempo, mitici) … ed ecco che davanti a me si stagliano due banchetti del merch: quello del Caper e quello di GianMaria Accusani.

Senza rendermene conto sono diventato il meme di Nicolas Cage in “Con-Air” che respira l’aria della libertà, come da tradizione degli ultimi 25 anni appena entro la prima direzione presa e i primi sguardi sono sempre per lui: il palco.

In quel momento salgono Stefano Gilardino (genuflessione per il sommo divulgatore del punk, dell’hardcore e della new wave mondiale) e… Joey Cape, per un’intervista esaustiva sull’ultimo periodo e sul nuovo album solista “A Good Year To Forget”.

Per l’ora successiva resto lì, a tre metri, a sentire quei due giganti: il 2020 per il Caper è stato anche peggiore del nostro, tra la separazione dalla moglie dopo oltre vent’anni e la morte di alcune persone care.

Inoltre il “nostro” ha contratto il virus e (per usare un eufemismo) non è stata una passeggiata.

C’è stato un momento esilarante parlando della “mark III” (questa la capiranno in pochi) dei Me First And The Gimme Gimmes: infatti, elencando tutte le new entry della band o gli occasionali per i tour, Joey non si ricorda la band principale di Stacey Dee e abbozza un “… Bombpops… The Bombpops… uhmm… maybe”.

Chiede l’aiuto del pubblico e in un silenzio tombale arrivo io, gobbo della situazione (anche se non seguo più la Juve dal 2005) a suggerirgli “Bad Cop Bad Cop”.

Epic Moment.

Durante le battute finali dell’intervista incontro dal vivo uno dei tanti “amici virtuali” conosciuti nell’ultimo anno e mezzo, Stefano dei SHS Bears, li avevo recensiti su Irritate People e anche per questo motivo vengo ringraziato (giuro di non averlo corrotto né pagato, è la verità).

Lato palco, dietro i punti di ristoro, c’è un poker d’assi, no anzi, una scala reale:

il PGA – Punk Goes Acoustic, Punkadeka, Flamingo Records, Sarapunka (con tanto di ruota girevole VERA), Ammonia Records e The Last Gig.

Prima delle esibizioni serali (Gianmaria Accusani, No Use For A Name Acoustic Set, Olly Riva, Joey Cape) sul main stage si disputa una session di Punk Rock Karaoke, tutta a tema punk italiano: in sostanza gli interessati prenotavano la canzone nei giorni precedenti e oggi sarebbero saliti a cantare con la base sotto.

Inizialmente (e anche perchè il tributo ai Ramones fatto nel Day 1 era andato così) pensavo che anche questa parte della kermesse fosse acustica, infatti sono rimasto spiazzato quando ho sentito i pezzi in diffusione su un palco così grande, venire spesso e volentieri ciccati in entrata, in uscita o sulle note alte.

Da spettatore esterno non addetto ai lavori: forse avrei dato il main stage al PGA e il palchetto piccolo al Karaoke, che è risultato forse un po’ troppo caciarone e meno godibile ai più (oltre al fatto che al palchetto del PGA si raccoglieva molta più gente rispetto ai pochissimi-ma buoni che erano sotto il main stage durante il Karaoke).

Ne ho approfittato per farmi un giro tra i banchetti e salutare un bel po’ di persone che ho sempre grande piacere di incontrare: due chiacchere con Dario di The Last Gig nonché gran patrono di Filler, Kappa di Ammonia Records, Alberto di Flamingo Records (spacciatore di dischi del cuore) e Franz di Wild Honey (a cui ho fregato un vinile dei Lookouts che aveva adocchiato proprio da Flamingo ma che non aveva preso subito) … mi dispiace Franz, non lo sapevo, ma come ci siamo detti dopo te lo duplico in cassetta o in mp3 senza problemi!!!

L’esibizione di Gianmaria Accusani è qualcosa di intenso, un vero e proprio storytelling dove l’eterno ragazzo di Pordenone riesce a raccontare tutto, sia il bello che il tragico, della sua esperienza musicale e personale nella scena underground ma anche nello showbiz, incluso il suo sodalizio con Elisabetta Imelio, dai Prozac+ fino ai Sick Tamburo.

Quando l’ho incontrato al banchetto del merch poco prima che se ne andasse mi è sembrato doveroso ringraziarlo apertamente, sia per quello che ci ha dato da adolescenti ma anche per quello che ha deciso di raccontarci in maniera così fortemente intima da risultare terapeutica (o almeno, in parte l’ho percepita anche così).

E’ il turno di Giulio e Francesco, due ragazzi (d’oro) di Livorno che da qualche tempo girano con questo ‘No Use For An Acoustic Set’ in ricordo e in onore del compianto Tony Sly: due chitarre e due voci, missione non impossibile ma molto difficile, riprodurre i pezzi del grandissimo songwriter californiano, a una certa lo ammettono pure loro dicendo di aver rielaborato alcune strutture.

Scaletta per nulla scontata, anzi, da veri fan dei NUFAN ma anche del Tony solista, devo dire che persino i sing-along (almeno nel mio caso) partivano tutti sottovoce per non rischiare di compromettere o rompere quella bellissima atmosfera in cui si era calato il Beky Bay … mi sono emozionato di maledetto quando è partita “Sleeping Between Trucks” dato che era uno dei pezzi che avevo suonato coi “miei” Roger Rubbish quando si fece il primo tributo a Tony, al Rock’n’Roll di Milano nel 2012.

Il bello del punk-rock è anche questo: una canzone di 2 minuti e mezzo può diventare qualcosa che unisce e tiene vivi i ricordi di tutti, siano essi belli, struggenti o tristi.

Per il sottoscritto, Olly è un peso massimo della scena musicale underground italiana: avendo seguito gli Shandon in mezza italia e vedendomeli per oltre 100 concerti, nell’ultimo periodo ho continuato a farlo assiduamente, sia con il duo acustico degli Shandon (con William al basso) sia nelle sue uscite soliste.

Concerto che conoscevo già a memoria dunque, ma non per questo meno da pathos: non prendiamoci in giro, all’interno del “giro” o della “scena” nazionale, chiamala come vuoi, un’ altra voce così non c’è.

Il pubblico in generale non è numeroso (a occhio direi 100 anime e sono generoso), ma durante il suo set sono praticamente tutti lì davanti, o in piedi sotto il palco o seduti ai tavolini dei chioschi.

Prima dell’esibizione di Joey Cape c’è spazio per l’ultima “sfuriata” dei ragazzi del PGA e la gente ormai mi sembra un pochino stanca, ma Andrea e i suoi tengono sempre alto l’entusiasmo.

Parte l’intro che anticipa l’inizio del Caper e ci si “accalca” (in senso figurato) sotto il main stage: ci siamo.

Joey Cape è in forma, nonostante l’annus horribilis che si è lasciato alle spalle ma che evidentemente ci vorrà tempo per metabolizzare del tutto: sarcasticamente “so benissimo che nessuno vuole sentire i pezzi del mio ultimo disco, quindi tranquilli, ne farò solo 3 di fila e basta”.

Va detto che la title-track di “A Good Year To Forget” è un pezzone secondo me, senza mezzi termini: dopo qualche pezzo chiede quale canzone vogliamo sentire, qualcuno dice “Violins!” e fa delle smorfie di disapprovazione, per poi attaccare con “Beer Goggles” e io impazzisco, non ci voglio credere.

La suona fino al primo ritornello e poi si ferma: “ok, questa qui da solo è troppo difficile da fare”.

Sul palco è accompagnato da un pianista virtuoso, fan dei Lagwagon, conosciuto dopo uno show della band, quando diede proprio a Joey un cd con alcune loro cover riarrangiate in chiave jazz … (storia bellissima).

Momenti di ilarità si alternano a situazioni da pelle d’oca, lo show scorre via veloce (anche troppo) e dopo una “Going Out In Style” e una “I Must Be Hateful” da applausi… il Caper chiede quanto tempo manca e il fonico risponde alzando la mano aperta… gli ultimi 5 minuti.

Qua vedo chiaramente il disappunto di Joey e un sorrisetto sarcastico, in buona sostanza il suo set è iniziato circa 20 minuti dopo la tabella di marcia ma (forse) nessuno ha fatto presente che questo avrebbe comportato un taglio sulla scaletta prevista … non so come interpretarla.

Fatto sta che restano fuori (le ha suonate il giorno dopo al Carroponte) “Violins” e “Angry Days”; non ci ho dato troppo peso perché la sensazione entusiastica di essere nuovamente “dentro”, “a”, “in” un concerto, francamente è stato un carico di adrenalina pazzesco che mi ha accompagnato fino al ritorno a piedi verso Gigliola Hardcore, con annesso sacchetto di bottino da festival (spille, fanzine, cd, vinili, magliette, adesivi, contatti vari) … già, “come si faceva una volta” !

Koppo

 

 

 

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