DISCONNECTION – L’Hardcore Italiano Negli Anni Novanta-Tsunami edizioni

DISCONNECTION – L’Hardcore Italiano Negli Anni Novanta-Tsunami edizioni

Abbiamo dato una buona lettura al “caso editoriale” del momento: Disconnection, il libro sulla scena hardcore italiana degli anni ’90

 

Autore:  Giangiacomo Di Stefano / Andrea “ICS” Ferraris

Titolo:  DISCONNECTION – L’Hardcore Italiano Negli Anni Novanta

Casa Editrice: Tsunami Edizioni

Ho appena terminato la lettura di DISCONNECTION, libro molto atteso all’interno della “scena” e allo stesso tempo osannato in parte già prima dell’uscita.

Gli autori offrono garanzia di qualità a prescindere, diciamolo, basti pensare al lavoro fatto da Giangiacomo Di Stefano (oltre alla sua militanza in svariati progetti hc) nella direzione di ‘AT THE MATINEE’, storico documentario sul CBGB’s e sull’hardcore newyorkese; non è da meno Andrea “ICS” dal punto di vista della militanza in altrettante band (tra cui mi limito a citare nomi come Burning Defeat e One Fine Day), sicuramente i due possono narrare da un punto di vista letteralmente “sul campo”.

Forse esagero, ma mi sembra si sia creato un vero e proprio ‘caso’ attorno a questo compendio, che in poco più di 400 pagine racconta, rivela e raccoglie davvero molto di quel periodo irripetibile (aggettivo peraltro ripetuto spesso, passatemi il gioco di parole, da alcuni personaggi di rilievo del periodo a cui si riferisce l’opera).

Spesso si dice “o bene o male, purchè se ne parli”, questo libro non ha fatto eccezione, ora cercherò di analizzare e capire che impatto ha avuto sul sottoscritto e che emozioni è riuscito a trasmettermi.

Parto da un presupposto: al celeberrimo primo “Hardcore Show” di quel 16 giugno al parco Cilea di Cinisello io c’ero, arrivato in treno da Bergamo con alcuni amici… quindi ritrovare la locandina e la descrizione di quell’evento tra le pagine del libro mi ha colpito molto; immediatamente  mi sono ritrovato là, con gli skaters sulle rampe visti per la prima volta dal vivo e non in tv o in un film americano, con i De Crew ma soprattutto i Sottopressione, che ancora oggi reputo una delle 3 migliori band hardcore mai esistite in italia.

Influenzato dunque da aneddoti come questo, il libro mi ha conquistato: ad esempio, devo ammettere che nelle parole di molti dei protagonisti di ogni scena locale ho ritrovato il “me stesso” ventenne, mi sono anche sentito meno solo quando non c’era chi necessariamente esprimeva la propria essenza HC raccontando di sbronze, risse, accolli o di chi ce l’aveva più grosso (anche se alcune volte compare chi sembra sottintenderlo), ma anzi c’era chi cercava un lifestyle più “intellettuale” e legato puramente alla musica e ai messaggi degli artisti, senza doverne fare un caso di stato o un pretesto per pipponi su presunte etiche ogni volta.

E’ chiaro che anche a livello regionale ciò che ha smosso scene e correnti ha avuto delle motivazioni differenti, ma credo anche in un denominatore comune composto dal rifiuto della convenzionalità e della piattezza della società quasi sempre (o comunque in maggioranza) legata a stereotipi di casa/famiglia/cristianità.

Dal mio punto di vista, sebbene forse ci sia una preponderanza della scena romana/laziale nella trattazione del libro e dei suoi aneddoti, quindi non sempre vicina alla realtà della mia provincia, la lettura di DISCONNECTION mi è scivolata tra le mani velocemente, con entusiasmo e partecipazione crescente, facendomi scoprire e non dare per scontato molte cose che mi apparivano normali o peggio ancora ovvie (un esempio su tutti, il release party dei Negazione a Pantigliate, paese dell’hinterland milanese a una trentina di chilometri da dove vivo… a livello locale ne ho sempre sentito parlare come evento storico, ma i retroscena esposti sul libro mi hanno dato un quadro ben diverso).

In conclusione, questo volume è come una bomba a orologeria, a una certa deflagra e puoi reagire in due modi: riparandoti e quindi restandone parzialmente fuori, oppure buttarti in mezzo e partecipare all’esplosione che produce.

Personalmente non mi sembra proprio un libro scritto per far vedere “quanto eravamo fighi voi e quanto non lo siete stati voi”, anzi, tutt’altro… mi appare come uno stimolo a fare uscire allo scoperto le impressioni e gli aneddoti di chiunque, per contribuire a lasciare un ricordo o dare un messaggio basato sulle esperienze personali, raggiungendo la consapevolezza di quanto ci sia stato prima.

Ci sono pochi e isolati episodi di autoreferenzialità fine a se stessa, in mezzo a tanta Storia con la S maiuscola e molta positività/propositività.

Magari, pensando anche alla remota possibilità di non ripetere gli stessi errori … che sono stati fatti senza dubbio, come in ogni contesto e in ogni corrente artistico-musicale, alcuni forse evitabili o forse no.

Una cosa è certa: DISCONNECTION è un fiume in piena e a mio parere è un’opera necessaria.

 

KOPPO

 

In redazione non tutti abbiamo le stesse idee

 

Devo dire che questa volta non concordo con il mitologico Koppo.

Ammetto di essere un benemerito ignorante per quanto riguarda la scena Hardcore in generale ma ancora di più per quella italiana.

Ammesso e appurato questo, do un parere personale da lettore ingenuo: il libro è ostico. La scelta di cercare di intevistare il maggior numero di persone possibili, se da un lato rende il testo mega completo, dall’altro lo appesantisce molto. Il filo del discorso non è unitario e, per uno che non è addentro come me, si rischia di spezzare in molti punti e alla fine diventa un po’ noioso…

Si capisce che il tentativo fosse quello di dipingere nel modo più completo ed esaustivo possibile una scena varigata e localizzata in diverse città italiane; il risultato mi sembra però quello di un mosaico guardato troppo da vicino, si vede il particolare ma la scena nel suo complesso sfugge.

Insomma: se il libro dei Nofx è un libro di storie, quello dei Bad Religion è un libro di storia, Disconnection è un’enciclopedia. Un libro di storie si legge, un libro di storia si studia, un’enciclopedia si consulta.

 

27tommy

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