
Intervista ai Loyal Cheaters
Siamo riusciti a ri-catturare i Loyal Cheaters, stavolta per una chiacchierata meno influenzata dal tasso alcolico del nostro inviato speciale. Ecco le ultime da una delle band più frizzanti del momento.
Ciao ragazzi! Vorrei dirvi benvenuti su Irritate People ma in realtà siete già stati ospiti delle nostre pagine con quell’ intervista del nostro inviato speciale in USA (qui)…quindi bentornati! Come butta la vitaccia?
Ciao gente di Irritate People! Siamo felici di essere di nuovo con voi! La vitaccia butta bene…tra un casino e l’altro ce la godiamo! Stiamo lavorando su nuova musica, facendo concerti e trovando sempre nuovi modi per incasinarci la vita, quindi diremmo che è tutto perfettamente nella norma!
Facciamo un po’ di convenevoli: raccontateci brevemente la vostra storia.
Tutto è nato quasi per caso: Lena (voce e chitarra) e Ricky (batteria), amici dai tempi dell’adolescenza, si sono ritrovati a un concerto e hanno deciso di iniziare un progetto insieme, anche se non avevano mai condiviso una sala prove prima. Dopo qualche jam session e i primi pezzi per definire il sound, si sono uniti Max alla chitarra e Tommy al basso. Era l’estate del 2020: poco dopo è arrivato un nuovo lockdown, ma non ci siamo fatti scoraggiare. Abbiamo continuato a lavorare a distanza, con l’obiettivo chiaro di arrivare pronti. Nel 2022 è uscito il nostro primo disco, a cui è seguito il secondo nel 2024.
Siete una band giovane, ma con un sound decisamente old school. Non so se avete la percezione di questa cosa, ma mi chiedo come hanno reagito le diverse generazioni alla vostra proposta musicale: il pubblico dei “genitori” è più da “aaah finalmente una band che suona giusta” oppure da “questi copiano il NOSTRO VECCHIO RUUOCK”? E le nuove generazioni invece? Riescono ad appassionarsi a questa musica o cercano invece dei sound più moderni?
Hai perfettamente ragione: il nostro sound ha un’anima decisamente retrò, ma non vogliamo “copiare” quello che è già stato fatto. All’interno c’è la nostra personalità, aggiungendo una spolverata di modernità soprattutto nella produzione. Il nostro pubblico è molto variegato: ai concerti trovi sia le vecchie che le nuove generazioni, e per noi è una grande soddisfazione riuscire a parlare un po’ a tutti, dal babbo old school al teenager punk.
Siete una band dalla provenienza “mista”, come si fa a gestire una band a distanza?
Lena vive in Germania, ma riesce a tornare in Italia abbastanza spesso per le prove. Per quanto riguarda la scrittura e la produzione nella fase creativa, invece, lavoriamo molto anche a distanza. Una delle poche fortune di vivere in tempi moderni è proprio questa: oggi puoi creare musica insieme anche se non sei fisicamente nello stesso posto.
Ad Aprile 2024 avete rilasciato il vostro ultimo album, And All Hell Broke Loose: cosa potete dirci di questo disco ad un anno di distanza dalla pubblicazione?
Il secondo disco ha segnato un punto importante per noi, ci ha aperto nuove porte e ci ha fatto crescere sia come band che come persone. Rispetto al primo ha un songwriting molto più vario e racchiude un pò tutte le nostre personalità. È anche per questo che, se chiedi a ciascuno di noi qual è il suo brano preferito, ti ritroverai con quattro risposte diverse.
Abbiamo già avuto tra i nostri ospiti delle band che hanno partecipato al The Fest e anche al Foreign Dissent [evento satellite del The Fest di Gainesville che si tiene a Orlando], ma voi lo scorso anno avete avuto addirittura la possibilità di fare un vero tour completo negli USA. Volete raccontarci com’è andata e che giro avete fatto? Come avete preso contatti per organizzare il tutto? Cose pazze successe ed episodi invece infelici?
È stata un’esperienza veramente singolare e siamo grati di aver avuto questa possibilità. Abbiamo avuto una mano da amici per contatti e booking e siamo riusciti a metter giù questo mini tour di 12 date nella East Coast. Sicuramente l’incontro con il vostro inviato speciale in USA è un ricordo memorabile, ma sul podio regna il post-serata in Virginia quando ci siamo ritrovati a ordinare al drive through di un Louisiana Fried Chicken e all’interno di esso i commessi stavano facendo una festa piuttosto psichedelica in cucina, alla quale abbiamo avuto modo di partecipare in parte… In generale, gli americani, soprattutto al Sud, si sono dimostrati super cordiali e ospitali: ci hanno invitato a feste private (con tanto di red cups) e a interviste, facendoci sentire davvero a casa.
Rimanendo su questo tema, quali differenze avete trovato tra Italia e USA a livello di scena musicale/pubblico/rapporti con altre band/venues ecc…? Cos’è che facciamo meglio noi e invece cosa fanno meglio loro?
Negli USA ci sono molte più opportunità per suonare e per la scena musicale in generale. Fa parte della loro cultura pagare un biglietto anche per vedere una band underground, mentre in Italia spesso, se l’ingresso non è gratuito, il pubblico si sente quasi derubato. Da noi manca ancora la consapevolezza che i musicisti sono artisti: l’intrattenimento e la cultura non dovrebbero mai essere dati per scontati, ed è giusto che chi lavora sodo riceva qualcosa di più degli applausi.
Un’altra differenza importante è il sistema del door deal che si trova in molte venue americane: la band viene pagata in base al numero di biglietti venduti, e questo spinge a impegnarsi di più nella promozione e a fare squadra con il locale per la riuscita della serata. In Italia invece è ancora molto diffusa l’idea che il locale debba garantire un cachet fisso, anche se magari la band non si è spesa davvero per promuovere l’evento.
Cosa facciamo meglio noi in Italia? L’ospitalità: la cena e l’alloggio. Per una piccola band in tour da noi sono quasi la norma, mentre negli USA sono spesso un’utopia.
Siamo in conclusione. Nel ringraziarvi per la bella chiacchierata vi lascio al nostro solito spazio libero per dirci tutto (ma proprio TUTTO) quello che vi passa per la testa. Spoiler, sfanculamenti, dichiarazioni scottanti e scomode…tutto valido: Irritate People vi protegge!
Grazie a voi per il supporto che date alle band! Se dobbiamo dire tutto a tutti: andate ai concerti, fatevi travolgere. La scena non va avanti nell’individualità ma serva una comunità che crea, rischia e innova collettivamente per non morire.
E soprattutto, prendetevi cura del caro Paolino (e salutatecelo)!
Reeko
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