
OUTBREAK FEST feat. Have Heart, American Football, Poison The Well, etc. | Manchester 29-30/06/24
Outbreak Fest: uno dei festival più fighi in Europa, con una varietà di band che difficilmente ha eguali in altri contesti e per il 2024 la crew di Manchester ha accentuato ancor di più questo aspetto. Per la lineup di quest’anno si va dall’emo più concettuale e tranquillone degli American Football fino all’hardcore più pestato di Harms Way e Incendiary. Tre giorni all’insegna della musica in moltissime sue sfaccettature, tra cui anche il rap a cui è dedicato un giorno intero, il venerdì.
Per quel che mi riguarda, la già succosa scaletta mi aveva fatto drizzare le orecchie ma quando come headliner del sabato hanno annunciato gli Have Heart immediatamente ho avuto un solo pensiero in testa: “devo assolutamente andarci!” Dopo un giro di messaggi tra amici e conoscenti, il buon Renny degli I Like Allie mi dice che lui va e si è già organizzato con altri due amici, tra cui Luca Mazza e Gloria Marigo, e cercavano proprio il quarto: un segno del destino! È fatta! Biglietto preso per sabato e domenica, hotel e voli prenotati: si va a Manchester!
Premessa prima di partire con il report.
Nei due giorni che mi aspettano il programma prevedeva una quarantina di band. Impossibile venderle tutte.
Si sa che in queste occasioni bisogna fare delle scelte, spesso dolorose. Ho saltato alcune band che avrei voluto vedere e ho visto alcuni set solo per metà ma devo dire che nel complesso sono molto soddisfatto di quello a cui ho assistito.

LOCATION
Il Bowlers Exhibition Centre è un grande magazzino con un’area esterna molto grande su cemento e una piccola area di erba/terra.
Le band si suddividono su tre palchi.
Il palco principale è esterno, dove sono anche presenti tutti gli stand dello street food, distribuiti lungo due dei lati dello spiazzo. Palco grande ma non enorme, con una pedana frontale per lo stage diving, che sarà l’attrazione principale del festival.
All’interno si trovano due palchi, uno nella sala grossa, a fianco della quale c’è l’area del merch, e uno nella sala più piccola luogo perfetto per il moshpit delle band hardcore “minori”.
Zero transenne ma tutti e tre i palchi avevano una “zona pit” gratuita chiamata Front Section, alle quali si accedeva dopo la firma di uno scarico di responsabilità e un bracciale da mostrare ogni volta che si entrava. Insomma un modo per dire: se ti sei preso una scarpata in faccia o ti sei rotto il naso cadendo dal palco ne eri consapevole e sono cazzi tuoi. Onesto.
PREZZI E CIBO
L’offerta del cibo era abbastanza varia ma ovviamente “molto inglese”: quasi tutto cibo vegano e molto cibo asiatico (indiano, tahi). Alcune cose buone, altre non troppo.
Per quanto riguarda i prezzi, era tutto molto costoso, quantomeno per un italiano. Impossibile spendere meno di 6 sterline, anche solo per una scatola di patate (però c’erano degli ottimi brownie vegani a 3 sterline). 7 sterline per le birre, 8 per i cocktails.
Acqua gratis ma da rubinetti che probabilmente pescavano direttamente da una piscina, tanto era il cloro.
C’è da dire che si poteva portare cibo da fuori, bastava che fosse confezionato, e un bottiglia vuota per bere la buonissima acqua delle fogne di Manchester.
ATTITUDINE E VIVIBILITÀ
Si vede che l’Outbreak è nato e continua a voler essere un festival “alternativo”, sia in senso positivo sia negativo.
Alcune cose a volte sembrano ancora molto spartane e talvolta poco curate come ad esempio la pulizia generale e la cura della parte bagni.
Nel palco interno mi sembrava che non ci fosse areazione della sala e questo faceva sì che nei set più concitati si trasformasse in un forno.
Dall’altro lato molta professionalità nel team della sicurezza, molto tranquilli, attenti e super rispettosi del pubblico, lontani anni luce dagli standard italiani.
Si vede che il festival è cresciuto molto, infatti il palco all’aperto era una novità di quest’anno.
Il sabato c’era veramente tantissima gente, probabilmente troppa. Code lunghissime, sotto palchi strapieni e qualsiasi posto della venue imballato. Domenica molto più vivibile.
SABATO
Iniziamo ora con il report vero e proprio e la carrellata delle band.
Come anticipato non citerò tutte le band ma solo quelle che sono riuscito a vedere per accavallamenti o necessità di prendermi una pausa.
HIGHER POWER (palco esterno)
Band inglese che sta facendo molto bene con il loro hardcore piuttosto melodico ma molto esplosivo.
Si presentano tutti con camicia azzurra a manica corta con logo della band, stile squadra da bowling. Notevoli le mosse del bassista che, nei pochi istanti in cui non suonava, metteva il braccio dietro la testa e muoveva il bacino con trasporto.
Promossi a pieni voti.
GRIDIRON (palco interno)
Ero molto gasato per i Gridiron, band del roster Triple B Records, e dopo gli Higher Power mi dirigo tranquillamente verso il palco interno. Arrivo dentro e vedo che la sala è strapiena… alle 14:15.
Mi godo comunque il concerto da una certa distanza, soddisfatto del continuo moshing che finora avevo visto solo nei video di hate5six oppure negli ultimi concerti in Italia ma in contesti molto più contenuti.
Lezione imparata: se mi interessa veramente una band mi devo muovere almeno 10 minuti prima per prender posto.
NOTHING (palco esterno)
Lo so, per molti questa è una band cult, una delle realtà più interessanti degli ultimi 10 anni. Scusate… ma non fanno per me.
Nonostante il cantante indossasse degli splendidi occhiali a specchio e il bassista orientale con il capello lungo mi trasmettesse simpatia, devo confessare che il loro set mi ha addirittura annoiato dopo una decina di minuti. Sicuramente sono io che non capisco niente, li lascio ai veri intenditori di musica.
Ah, per dovere di cronaca lo show era incentrato sul decimo anniversario di Guilty Of Everything (quello con in copertina una bandiera, per intenderci).
CEREMONY (palco esterno)
Una delle band che più aspettavo da questo primo giorno erano i californiani Ceremony. La loro discografia spazia da inizi praticamente powerviolence fino all’attuale sound new wave/post punk, passando per il loro terzo disco, Rohnert Park, vero e proprio capolavoro del (post) hardcore.
La follia per cui la band è rinomata è evidente già da come salgono sul palco: lo storico chitarrista Anthony Anzaldo si presenta vestito con una tutina leopardata semitrasparente che fa intravedere un tanga nero. Il cantante Ross Farrar, maglietta grigia infilata nei jeans, guarda un punto fisso all’orizzonte con un’espressione a metà tra il sognante e il pazzo psichiatrico.
Il primo brano proposto fa parte della seconda fase della loro discografia, di cui conosco pochissimo, un pezzo new wave dove il sintetizzatore regna sovrano.
Terminato quello, parte il casino: la band suona Kersed dal primo ep. Il pubblico, prima immobile, corre sottopalco e si accalca letteralmente attorno al cantante sceso nella pedana dello stagediving, procurandosi immediatamente un taglio sopra il sopracciglio. Da lì in poi sarà un’alternanza di pezzi concitati (che saranno comunque la maggioranza), presi soprattutto da Rohnert Park, e pezzi recenti più tranquilli.
Chiusura con Sick che termina quello che sarà, con il senno di poi, uno dei set migliori di tutta la giornata.
JIVEBOMB (palco interno)
I Jivebomb potremmo riassumerli come i potenziali nuovi Gel. La cantante, bassettina con due code laterali, ha un’energia coinvolgente e concentra su di sé tutte le attenzioni del pubblico. La sua voce dal vivo è più gutturale rispetto al disco, dove invece è più urlata.
Per ora quel che manca alla band sono forse canzoni un po’ più incisive ma il tempo ci dirà se si guadagnerà un posto tra le hot bands o sprofonderà nel mare magnum dell’hardcore contemporaneo.
Da tenere d’occhio.
POISON THE WELL (palco esterno)
Per la quantità di gente presente e una certa fatica nello spostarsi da un palco all’altro, decido di saltare i Never Ending Game e stazionare davanti al palco esterno per vedermi i Poison The Well, band iconica che però ammetto di non aver mai seguito.
Devo dire che la band mi ha convinto e non poco! Non saprei molto cosa dire in merito alla scaletta in quanto non conosco i pezzi. La gente ovviamente si è scatenata con veri e propri assalti di massa alla zona astante al palco, tanto che è dovuta intervenire la sicurezza interrompendo lo show per qualche secondo e facendo scendere tutti.
In realtà da quindi in poi quasi ogni esibizione provocherà questa reazione del pubblico ma gli show poi non saranno interrotti. Forse qualche organizzatore avrà parlato con la sicurezza per concedere questa pratica effettivamente difficile da impedire.
BIB (palco piccolo)
Il mio primo show nel palco piccolo interno saranno i BIB, band hardcore super abrasiva che potrebbe essere accostata agli Spy.
Come nel caso dei Jivebomb, anche qui l’attenzione del pubblico è concentrata sul cantante, un tipo bassettino di chiare origini asiatiche (sembrerebbe filippino), con un taglio di capelli a scodella, baffetti e occhiali da sole improbabili.
Non sono male ma alla lunga mi hanno annoiato con uno show senza troppe dinamiche. La cosa più fastidiosa era la voce con un riverbero molto accentuato, anche troppo.
Meh.
MINDFORCE (palco interno)
Probabilmente la mia scelta non sarà popolare ma ho deciso di saltare i Touché Amoré per vedermi i Mindforce.
Eh sì, perché seppur apprezzi la band di Los Angeles, i Mindforce erano una delle formazioni che in assoluto avrei voluto più vedere.
Sala del palco interno imballata. Parte New Lords, primo brano dell’ultimo disco omonimo, e il pubblico inizia già a invadere il palco. Da lì in poi sarà una carneficina sopra e sotto il palco: sbracciate, salti dal palco, crowd surfing come se non ci fosse un domani. Sono in concerti come questi che ti fanno capire come il pubblico sia parte integrante dello show.
Ovviamente nella setlist c’è spazio per brani sia dall’ultimo già citato New Lords sia dal precedente Excalibur, ed è proprio per il pezzo che da nome all’album del 2018 che la gente si esalta di più.
Band fantastica, ora li aspettiamo in Italia.
HAVE HEART (palco esterno)
Gli Have Heart sono LA band per cui sono venuto all’Outbreak Fest.
I 5 Bostoniani salgono sul palco sulle note di War di Bob Marley nella celebre versione a cappella di Sinéad O’Connor. Proiettata sullo schermo una scritta a caratteri cubitali su sfondo rosso: IZZELDIN ABUELAISH e in piccolo a ripetizione “I shall not hate”.
Terminato il canto, Pat Flynn, cantante e mente della band, grida “Cease Fire!” evidentemente riferito alla guerra in Palestina, e la band parte con Machinist.
È stato incredibile vedere Pat in azione: costantemente davanti, immerso tra la gente che fa a gara a rubargli il microfono, completamente focalizzato sul messaggio che sta portando ma allo stesso tempo attento a ciò che sta attorno a lui.
Un personaggio molto carismatico e con una carica incredibile.
Show tirato senza nessun calo, anche perché la setlist è perfetta come al solito.
Prima dell’ultima canzone Pat si attarda in un lungo discorso in cui spiega cosa significa la scritta alle loro spalle.
Si tratta del nome di un medico palestinese che alcuni anni fa ha perso le sue tre figlie per mano degli israeliani. Nonostante la tragedia che gli è capitata, ha deciso di lavorare per la pace e il dialogo, scrivendo anche un libro dal titolo “I shall not hate”. Un bellissimo messaggio in un tempo in cui l’unica risposta possibile sembra essere solo odio e violenza.
Il concerto si chiude con la classica Watch Me Rise e non potevo ritenermi più soddisfatto di così. Spero di avere la possibilità di rivedere questa band ancora una volta nella vita ma per ora posso dire: io c’ero.
SHOW ME THE BODY (palco interno)
Dopo essermi visto un assaggio di Chat Pile nel palco interno (band interessante ma da vedere dall’inizio alla fine, comunque meglio live che su disco) e i Basement sul palco esterno (mai ascoltati e non mi hanno particolarmente colpito), mi sposto nuovamente dentro per vedermi i Show Me The Body.
La band di New York è sotto i riflettori da diverso tempo per il suo sound altamente sperimentale, che mischia hardcore, elettronica, sludge metal, noise e chi più ne ha più ne metta.
La cosa forse più sorprendente è che sono un trio, in cui il bassista alterna lo strumento a quattro corde con le tastiere/synth mentre il cantante suona… un banjo (il batterista è “solo” batterista). Di country però non c’è traccia, ma solo caos a 360 gradi.
Ottima prova, vengono in Italia ad agosto, occhi aperti!
Si chiude così il sabato! Giornata fantastica, molto affollata ma con band veramente incredibili!
Ma siamo solo a metà! Domani ci aspetta un’altra bella giornatina!
DOMENICA
Se il sabato era la giornata più hardcore, domenica è sicuramente la giornata più emo. Personalmente nel complesso meno interessante, presenta alcune chicche veramente imperdibili.
Il pubblico si è presentato sempre molto numeroso ma la situazione era più vivibile, code più scorrevoli, possibilità di spostarsi tra i palchi più affrontabile.
La giornata inizia presto con BALANCE AND COMPOSURE alle 11:50 sul palco esterno. Avrebbero dovuto esibirsi il giorno prima ma per problemi legati al volo hanno dovuto rimandare in questo orario improbabile.
Ma l’Outbreak non si tiene in Italia: infatti già dall’inizio del loro set la gente si presenta abbastanza numerosa. Non conoscevo la band e devo dire che non mi è dispiaciuta, anche se non la sento nelle mie corde.
SPITE HOUSE e WRONG MAN (palco interno)
Prima di vedermi gli Angel Dust sul palco esterno, ho visto un pezzo di due set interessanti.
Spite House: probabilmente la band più punk dell’intero festival. Trio dal Quebec con voce grezza e melodie a cannone. Meritano sicuramente un ascolto.
Wrong Man: band belga con un passato attivo nella scena hardcore, questo progetto raccoglie più influenze, mescolando il sound da cui provengono con alcuni elementi rock e blues. Dal vivo mi hanno colpito ma purtroppo devo dire che ascoltandoli a posteriori su disco mi sono scesi un po’. Magari rivedendoli dal vivo mi tornano su. Da tenere lì.
ANGEL DU$T (palco esterno)
Ma che gli volete dire a Justice Tripp e soci? Per me sono sicuramente la parte migliore uscita dai Trapped Under Ice. Cugini dei Turnstile, sono riusciti a creare una miscela perfetta tra il sound delle origini e nuove influenze musicali totalmente diverse, rimanendo una band hardcore al 100%. E a dimostrarlo lo show infuocato all’Outbreak, con singalong e stage diving non-stop.
Ricordo di averli visti anni fa in Italia di spalla ai Deez Nuts ma a quei tempi nessuno li conosceva e il pubblico era stato molto freddo. Direi che il ricordo di questo concerto ha soppiantato l’amaro in bocca che mi era rimasto da allora.
FIDDLEHEAD (palco esterno)
I Fiddlehead si possono descrivere in modo frettoloso come la band emo di Pat Flynn degli Have Heart. Ma quello a cui abbiamo assistito è stato un concerto hardcore con tutti i crismi.
Il buon Pat non cambia di una virgola l’approccio sul palco e con il pubblico rispetto alla sua altra band con un tocco di romanticismo e malinconia in più.
Nonostante la band sia nata recentemente, il trasporto con cui la gente affronta il concerto è quello che avrebbe con una band storica o molto più affermata. Al termine del set, Pat rimane sul palco a salutare e parlare anche a lungo con chiunque si avvicini a lui e questa è l’ennesima prova dell’altissimo spessore umano di questo personaggio incredibile.
THE HOTELIER e JOYCE MANOR (palco esterno)
Non mi vergogno a dire che se non fosse stato per i miei compagni di viaggio non avrei mai assistito ai concerti di queste due band. Ma devo dire che ne è valsa la pena.
Due modi di approcciare l’emo, il primo più intimo e “cantautorale”, il secondo più vicino al pop punk.
Due anniversari e due scalette dedicate a due album usciti entrambi 10 anni fa, cioè rispettivamente “Home Like No Place Is There” e “Never Hungover Again”.
Due show intensi e veramente partecipati (il pubblico dell’Outbreak riuscirebbe a fare stage diving anche su un walzer).
PS: il nome della prima band non si pronuncia alla francese (tipo hotelié) ma all’inglese.
INCENDIARY (palco interno)
Lascio anticipatamente il concerto dei Joyce Manor – ammetto, un po’ a malincuore – per prendere posto all’interno per uno dei set che più aspettavo per la domenica: i cazzo di Incendiary!
Li seguo dal 2014 (o poco dopo), anno di uscita di Cost Of Living, un album che mi ha cambiato la visione dell’hardcore. Vederli per la prima volta dal vivo è stata un’epifania, il coronamento di un sogno che durava da più di 10 anni.
E questo sogno non poteva iniziare in modo migliore: il primo brano proposto è Primitive Rage, seconda traccia proprio di Cost Of Living, forse la più iconica di quel disco.
Il macello raggiunge già l’apice dopo i primi 3 minuti e rimarrà costante per tutta la durata del set. La voglia di buttarmi nella mischia è molto alta ma la paura di perdere telefono o portafogli o di rompermi il naso nel Regno Unito prevale (permettetemi un’autocritica: cagasotto) per cui mi limito a stare a lato del pit. Ho fatto bene? Non lo sapremo mai ma il ricordo di questo set sicuramente non lo dimenticherò facilmente.
HARMS WAY (palco interno)
Finiti gli Incendiary mi sposto all’esterno dove stanno suonando gli Hot Mulligan, altra band che avrei voluto vedere, ma il fatto di essere arrivato a concerto iniziato e che sia molto laterale non mi permette di godermi a pieno la loro performance.
Mi prendo un attimo di pausa e poi di nuovo dentro per gli Harms Way.
Non sono mai stato un fan della band e devo dire che questo show non mi ha fatto cambiare idea. Per carità, performance di tutto rispetto ma è proprio la loro musica che non mi convince, mi sembra piuttosto piatta rispetto a tante altre band che hanno già calcato il palco dell’Outbreak.
I meme sul cantante James Pligge, che definire muscoloso è un eufemismo, si sprecano ma i motivi per cui mi ricorderò di questa esibizione si fermano lì.
DEMONSTRATION OF POWER (palco piccolo)
I DOP fanno parte della scena hardcore scozzese e insieme ad altre band come Despize, anche loro esibitisi sullo stesso palco un’oretta prima, stanno animando il panorama inglese e non solo.
Quello che mi ha colpito del loro set non è tanto la proposta musicale, che di per sé non ha niente di particolare rispetto alla media delle band hardcore moderne, ma piuttosto il fatto che si percepisce l’unità della scena.
Il fatto che la sala sia piena e che il palco sia circondato di gente sia davanti sia dietro, il fatto che si alternino a cantare e a suonare diverse persone, rende evidente come i DOP abbiano chiamato a rapporto tutto il mondo hardcore per l’ultimo vero moshpit del festival.
AMERICAN FOOTBALL (palco esterno)
Ultimi headliner e ultima esibizione dell’Outbreak 2024: gli American Football.
Band mai seguita e sinceramente sempre skippata in qualsiasi playlist mi sia capitata.
Posso dirlo? Lo dico: che palle gli American Football! E lo dice uno che si ritiene molto aperto musicalmente!
Qualcuno mi ha ribattuto affermando che loro rappresentano una delle mille sfaccettature del punk ma sinceramente della loro esibizione non ci ho trovato niente di punk: né la musica, né l’approccio, niente di niente. Secondo me gli AF con questo festival non c’entravano niente…
A smentirmi comunque è il pubblico dell’Outbreak: tutti davanti al palco esterno a pendere dalle labbra di Mike Kinsella e soci e dalle loro divagazioni tra il jazz e il math rock. Vero è che alternative al loro concerto non ce n’erano e pure io, devastato dalla stanchezza, non trovo altro da fare che non guardarmi tutto il loro concerto.
Momento di ilarità quando Kinsella riporta con una battuta la sua preoccupazione quando l’organizzazione gli avrebbe comunicato che la sua band avrebbe dovuto fare a botte con gli Harms Way per aggiudicarsi il ruolo da headliner. Ha stemperato poi dicendo che in realtà gli Harms Way sono dei bravi ragazzi perché vengono anche lora da Chicago.
Finale glorioso con invasione totale della pedana e degna conclusione di questa due giorni.
Si chiude così un’esperienza fantastica ricca di emozioni, musica fighissima e nuove amicizie! E l’anno prossimo… ancora?
Frankie